I due volti di un vitigno: il Moscato di Scanzo secondo La Corona

Assaggiare vino è un'arte che va condivisa, secondo la mia personale convinzione: per questo motivo ho atteso alcuni mesi prima di degustare il Moscatello della Trefaldina 2020 e il Moscato di Scanzo DOCG 2018 di Paolo Russo, dell'azienda La Corona di Scanzorosciate (BG); grazie alla collaborazione di un'amica, ho creato un piccolo gruppo di degustazione, trasformato in pranzo di inizio estate.   

Tre coppie, con diversi livelli di percezione, differenti età ed esperienze, si sono riunite per il piacere della compagnia e della tavola, arricchito dalla curiosità di apprendere qualcosa di nuovo; lo scopo delle mie degustazioni è infatti di fornire gli strumenti per individuare un vino di buon livello, il più sano possibile, decidere se includerlo nella lista dei preferiti e diffonderne la conoscenza. 

Il resto lo lascio ai grandi virtuosi del calice. 

Il nostro pranzo si è "purtroppo" aperto con un metodo classico dell'Oltrepò Pavese da fuoriclasse e abbiamo proseguito con un Bandol AOC rosé storicamente d'eccellenza; quindi, il terreno è stato accuratamente minato da due vini di lignaggio importante, ma il piacere della scoperta, sorso dopo sorso, ha reso nomi ed etichette ininfluenti. 

 Il Moscato di Scanzo è un vitigno a bacca nera davvero poco conosciuto, già in Lombardia, da cui proviene, figuriamoci in Veneto: "mai sentito nominare" è una risposta comune in una terra ricchissima di storia e tradizione vitivinicola, oltre che molto campanilista, però, dato che il vino apre i cuori e li rende più pronti alla passione, parafrasando Ovidio, mi sono affidata alla sapienza degli antichi.

 Il Moscatello della Trefaldina 2020 di Paolo Russo è uno dei rarissimi esempi di Moscato di Scanzo secco; in purezza, vinificato in acciaio, alla vista il colore è rosso rubino intenso e profondo con una leggera sfumatura granata; le lacrime sono ampie e lente, a testimonianza di 14% di titolo volumico alcolometrico che potrebbero indurre a scartarlo in un pranzo; per questo è stato servito leggermente fresco rispetto alla temperatura della giornata, sui 18°C. 

Al naso una grande quantità di profumi di varia natura ci investe, tanto che un nostro commensale ha riassunto le sue sensazioni in "Sento il muschio!": in questo ventaglio di note odorose abbiamo riscontrato la rosa rossa, dolce e intensa, un ricordo di iris, il fruttato di fragolina di bosco, mirtillo e sambuco, una speziatura intensa e quasi pungente di chiodi di garofano, noce moscata, cannella, pepe nero e vaniglia nera; per finire, dell'erbaceo, sottobosco e una punta di volatile. Il tutto in un dispiegarsi estremamente armonico. 

Al palato la ricchezza olfattiva viene alleggerita da una bella acidità e dalla morbidezza del tannino, chiudendosi in una punta di liquirizia e di pepe nero che ne prolungano la già importante persistenza. 

Gli abbinamenti proposti erano un azzardo, avendo pochi riferimenti, ma abbiamo in pieno applicato il metodo sperimentale di Galileo: ottima la pasta calamarata con piselli e pancetta, un matrimonio davvero fortunato grazie alla tendenza dolce del legume e del cereale, che ben stemperavano la spezia, bilanciata dalla carne; meno adatto il pollo al curry, troppo fine e delicato, accettabile il formaggio latteria stagionato di un anno. 

 In conclusione, un vino abbastanza fine, molto persistente, equilibrato nonostante la ricchezza, da bere in determinate occasioni, accompagnato da pietanze che lo valorizzino ancor più, non avendo a disposizione prodotti dello specifico territorio: la proposta di una costata di manzo al rosmarino è stata accolta per un successivo esperimento. 

Per accompagnare il dolce, infine, abbiamo assaggiato il Moscato di Scanzo DOCG 2018, vitigno sempre in purezza, ma, come in un tema e variazioni, le caratteristiche comuni con il precedente assumono qui sfumature diverse, complice anche l'appassimento delle uve: colore più cupo, maggiore densità agitando il calice, prevalere del fruttato, in cui è regina la marasca, al naso quanto in bocca, e una piacevole nota di diacetile o burro; la spezia è presente, in tutte le sue sfaccettature, ma più diluita e si colgono all'olfatto sensazioni di rosa sfiorita. L'acidità ben contrasta il suo grado zuccherino (61,9 g/lt) e lo rende gradevole al palato, ancor più servito a 14 °C, che ha permesso anche di non badare al suo 15% di titolo volumico alcolometrico. 

Lo completa un finale lievemente ammandorlato.

Grande finezza, equilibrio e persistenza caratterizzano questo vino, eccellente coi cantucci senesi, bene con il panforte, da evitare invece con il buonissimo pancake Sacher preparato dalla padrona di casa per eccesso di sensazioni contrastanti. 

Nella mia personale classifica i due Moscati vanno a pari merito: l'uno è figlio dell'altro e il secondo aggiunge ciò che il primo omette di dire. 

E si alzarono da tavola tutti felici e contenti.....



Alla riscoperta del Prosecco